13.8.13

Può essere tutto pubblico?

Lo ammetto, provocare mi piace, provocare un dibattito, una discussione, un dissenso  nell'epoca dei contenuti premasticati e predigeriti scrivere qualcosa di provocatorio può perfino sembrare rivoluzionario.
Non vuole questa essere una dissertazione alta fra ciò che è il bene ed il male, tale discussione va lasciata a benpensanti e religiosi tanto sarebbe la tipica discussione nella quale è il relativismo a far da padrone e non altro.

Mi interrogo da tempo su cosa sia e a cosa porti il fenomeno del whisteblowing, di cosa ha comportato Assange con Wikileaks e l'ultimo caso in ordine temporale dal caso Snowden.
Ripeto, non è lo scopo di queste righe giudicare l'operato di costoro, ma stiamo ai fatti: entrambi hanno reso pubblico qualcosa che non era destinato ad esserlo.
Wikileaks per primo portò alla luce migliaia di documenti riservati, molti dei quali con nomi e cognomi di persone coinvolte in operazioni segrete in territori pericolosi, altri con commenti riservati di varie diplomazie riguardanti singoli politici o governi stranieri.
La politica è l'arte del dire e del non dire. Un politico che mente è un pessimo politico ma un politico che omette una verità è a volte destinato a divenire uno statista.

Il punto centrale del mio interrogativo è: “può essere tutto pubblico?”

La risposta è complessa, verrebbe da dire che la sua complessità è inversamente proporzionale alla sua lunghezza.
Può un gruppo dirigente, un capo di stato, un presidente, o chiunque abbia un ruolo di responsabilità permettersi di divulgare tutto?
E' davvero un atto di grande responsabilità pubblica divulgare qualunque interlocutorio, accordo o informazione?
Fin dove si può arrivare e quanto oggettivo può essere il metro di giudizio per scegliere ciò che può essere pubblico e ciò che non lo è?

La storia della seconda guerra mondiale ci ricorda che l'esito di quella guerra non è mai stato scontato. L'incubo nazista era un incubo vero, l'Europa era praticamente crollata, l'Unione Sovietica resisteva ad alcuni degli assedi più terribili dell'epoca moderna, Parigi capitolava di fronte all'avanzata nazista. la Gran Bretagna rimane l'ultimo straccio d'Europa non occupato, ma anche in quel caso la situazione non è rosea.
La popolazione britannica è stremata, l'impegno profuso nel fronteggiare l'avanzata nazista ha ridotto l’Inghilterra in ginocchio. Gli alti vertici del governo sapevano, e oggi lo sappiamo per certo, che l'invasione nazista era imminente e il manifesto "Keep calm and carry on"[1] è una testimonianza di quella, non recondita, possibilità.
La seconda guerra mondiale però è il contesto dove per la prima volta l'informatica, anzi la teoria dell'informazione, cambia la storia. C'è un nome, noto ai più che leggeranno queste righe, Alan Turing. Matematico, informatico, diciamo un hacker ante litteram e d è proprio per questo motivo che lo chiamo in causa. Di Alan Turing è ben noto il contributo, dal punto di vista strategico, che diede alla Gran Bretagna grazie al suo lavoro di decodifica del codice enigma.
Tale vantaggio strategico per ovvie ragioni non fu divulgato. Lo stesso Churchill pur sapendo dell'imminente attacco della città di Coventry non fece predisporre alcunché al fine di preservare tale vantaggio, questa scelta costò la vita a 1.236 persone, non possiamo sapere come sarebbe andata la storia se si fosse sacrificato quel segreto per salvare più di mille persone..
Lo stesso Turing lavorò nel segreto più totale, e di quello che risultò essere il più grande attacco crittoanalitico della storia se ne seppe qualcosa solo dopo la fine della guerra. In quella circostanza in gioco c'era la responsabilità di un primo ministro non solo di fronte al suo popolo, ma di fronte alla storia.
La storia non si fa con i se, ma non è errato dire che all'esito della seconda guerra mondiale e la caduta del Reich contribuiscono l'operato di un hacker come Turing, un primo ministro e di un segreto.

La storia è disseminata di segreti, come segreti sono tutti gli incontri fra USA e URSS che durante la guerra fredda hanno sempre impedito l'escalation nucleare. Come segreto, ma ormai storicamente accettato, è stato l’accordo fra USA e URSS per porre fine alla dittatura di Ceausescu in Romania, accordo segreto perché non sarebbe mai stato accettato dal popolo americano e quello russo, uno perché convinto anticomunista e quindi posizionato su posizioni antisovietiche e antisocialiste, l'atro perché la dittatura bulgara ufficialmente era nel solco del socialismo e quindi "vicina" all'URSS.
La storia è andata diversamente. Ceausescu e la moglie, gli artefici di una delle più folli e atroci dittature della storia, furono catturati e fucilati; sarebbe accaduto se di quegli incontri, in primis Ceausescu, ne fosse venuto a conoscenza?

L'elenco sarebbe lungo, ma bastano pochi esempi per porsi di fronte ad un dubbio, è sacrificabile la verità di fronte ad un benessere generale? E qual è la misura? Ritengo che la misura oggettiva non possa esistere e tutto è in mano a chi in quel momento ha l'onere della responsabilità; non è definibile responsabilità pubblicare tutto e ascoltare il parere di un popolo impaurito; se durante la crisi dei missili di Cuba il popolo americano fosse stato interpellato sul da farsi, avrebbe quasi all'unanimità chiesto di nuclearizzare la Russia.

Torniamo all'oggi, Assange, Snowden e altri, persone che sicuramente hanno avuto coraggio, sacrificando la propria libertà per la verità. Ma fin dove è possibile spingersi? Sono felice che il progetto PRISM sia oggi di dominio pubblico, ma quanti documenti, fra quelli rilasciati pubblicamente, hanno minato i fragili rapporti diplomatici fra potenze mondiali? Siamo in un mondo che non è prono alla pace e una relazione diplomatica rappresenta un punto di stabilità per tutti.

I concetti assoluti, come le misure esatte, hanno probabilità nulla di essere corretti. Un consistente pezzo della mia cultura proviene dal grande, sfaccettato, indefinibile mondo della subcultura informatica, e ringrazio questo mondo di avermi insegnato che non c'è il bene e il male, che i confini fra questi sono evanescenti e che esiste una grande differenza fra etica e morale, l’hacker è libero ed essere liberi non coincide sempre con l’essere moralmente integri o eticamente corretti. La libertà ha il costo della fallibilità, del non rispondere al metro comune di valutazione delle azioni e quindi nemmeno alla legge, ma nessuno ha mai avuto ne’ la pretesa ne’ il desiderio di rinunciare a quella libertà per guadagnarsi il proprio ruolo nella società, però questa è materia già affrontata in altri anni, basterebbe rileggere il manifesto di The Mentor [2].
L’hacktivismo da questo punto mi terrorizza, nonostamte lo reputi una grande conquista, nasce su un postulato tanto assoluto quanto debole, ovvero quello di utilizzare il proprio essere hacker per "nobili fini": la difesa dei diritti umani, la libera circolazione delle informazioni ecc ecc, ma in più conia un termine per definire il sottoinsieme di un mondo che della sua eterogeneità faceva la propria forza. Volendo essere ortodossi, però, in questo mondo socialmente accettato dell’hacktivismo c’è certamente un posto per Assange e Snowden, ma non c'è affatto per Turing, che tutto fece fuorché divulgare informazioni, anzi collaborò con un governo in guerra e indirettamente fu complice di un evitabile massacro. 
  
I princìpi assoluti non mi appassionano, pertanto  la domanda posta all’inizio, tanto breve quanto complessa: “può essere tutto pubblico?” non ha motivo di essere posta e per tale motivo la risposta è semplicemente: “no”.
Da qui mi permetto di derivare un’altra considerazione riguardo coloro che affermano che il mondo sarebbe un luogo migliore se tutto fosse pubblico, anche di fronte a tale asserzione la risposta è “no”.

Per cambiare il mondo occorre compiere delle scelte e la proposizione “tutto deve essere pubblico” non prevede una scelta, bensì prevede una procedura … e le procedure cari amici le lascio ai burocrati, gli hacker fanno ben altro.



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