Lo ammetto, provocare mi piace, provocare un dibattito, una
discussione, un dissenso nell'epoca dei contenuti premasticati e predigeriti
scrivere qualcosa di provocatorio può perfino sembrare rivoluzionario.
Non vuole questa essere una dissertazione alta fra ciò che è
il bene ed il male, tale discussione va lasciata a benpensanti e religiosi
tanto sarebbe la tipica discussione nella quale è il relativismo a far da
padrone e non altro.
Mi interrogo da tempo su cosa sia e a cosa porti il fenomeno
del whisteblowing, di cosa ha comportato Assange con Wikileaks e l'ultimo caso
in ordine temporale dal caso Snowden.
Ripeto, non è lo scopo di queste righe giudicare l'operato
di costoro, ma stiamo ai fatti: entrambi hanno reso pubblico qualcosa che non
era destinato ad esserlo.
Wikileaks per primo portò alla luce migliaia di documenti
riservati, molti dei quali con nomi e cognomi di persone coinvolte in
operazioni segrete in territori pericolosi, altri con commenti riservati di
varie diplomazie riguardanti singoli politici o governi stranieri.
La politica è l'arte del dire e del non dire. Un politico
che mente è un pessimo politico ma un politico che omette una verità è a volte
destinato a divenire uno statista.
Il punto centrale del mio interrogativo è: “può essere tutto
pubblico?”
La risposta è complessa, verrebbe da dire che la sua
complessità è inversamente proporzionale alla sua lunghezza.
Può un gruppo dirigente, un capo di stato, un presidente, o
chiunque abbia un ruolo di responsabilità permettersi di divulgare tutto?
E' davvero un atto di grande responsabilità pubblica
divulgare qualunque interlocutorio, accordo o informazione?
Fin dove si può arrivare e quanto oggettivo può essere il
metro di giudizio per scegliere ciò che può essere pubblico e ciò che non lo è?
La storia della seconda guerra mondiale ci ricorda che
l'esito di quella guerra non è mai stato scontato. L'incubo nazista era un
incubo vero, l'Europa era praticamente crollata, l'Unione Sovietica resisteva
ad alcuni degli assedi più terribili dell'epoca moderna, Parigi capitolava di
fronte all'avanzata nazista. la Gran Bretagna rimane l'ultimo straccio d'Europa
non occupato, ma anche in quel caso la situazione non è rosea.
La popolazione britannica è stremata, l'impegno profuso nel
fronteggiare l'avanzata nazista ha ridotto l’Inghilterra in ginocchio. Gli alti
vertici del governo sapevano, e oggi lo sappiamo per certo, che l'invasione
nazista era imminente e il manifesto "Keep calm and carry on"[1] è una
testimonianza di quella, non recondita, possibilità.
La seconda guerra mondiale però è il contesto dove per la
prima volta l'informatica, anzi la teoria dell'informazione, cambia la storia.
C'è un nome, noto ai più che leggeranno queste righe, Alan Turing. Matematico,
informatico, diciamo un hacker ante litteram e d è proprio per questo motivo
che lo chiamo in causa. Di Alan Turing è ben noto il contributo, dal punto di
vista strategico, che diede alla Gran Bretagna grazie al suo lavoro di
decodifica del codice enigma.
Tale vantaggio strategico per ovvie ragioni non fu
divulgato. Lo stesso Churchill pur sapendo dell'imminente attacco della città
di Coventry non fece predisporre alcunché al fine di preservare tale vantaggio,
questa scelta costò la vita a 1.236 persone, non possiamo sapere come sarebbe
andata la storia se si fosse sacrificato quel segreto per salvare più di mille
persone..
Lo stesso Turing lavorò nel segreto più totale, e di quello
che risultò essere il più grande attacco crittoanalitico della storia se ne
seppe qualcosa solo dopo la fine della guerra. In quella circostanza in gioco
c'era la responsabilità di un primo ministro non solo di fronte al suo popolo,
ma di fronte alla storia.
La storia non si fa con i se, ma non è errato dire che all'esito
della seconda guerra mondiale e la caduta del Reich contribuiscono l'operato di
un hacker come Turing, un primo ministro e di un segreto.
La storia è disseminata di segreti, come segreti sono tutti
gli incontri fra USA e URSS che durante la guerra fredda hanno sempre impedito
l'escalation nucleare. Come segreto, ma ormai storicamente accettato, è stato
l’accordo fra USA e URSS per porre fine alla dittatura di Ceausescu in
Romania, accordo segreto perché non sarebbe mai stato accettato dal popolo americano
e quello russo, uno perché convinto anticomunista e quindi posizionato su
posizioni antisovietiche e antisocialiste, l'atro perché la dittatura bulgara
ufficialmente era nel solco del socialismo e quindi "vicina"
all'URSS.
La storia è andata diversamente. Ceausescu e la moglie, gli
artefici di una delle più folli e atroci dittature della storia, furono
catturati e fucilati; sarebbe accaduto se di quegli incontri, in primis
Ceausescu, ne fosse venuto a conoscenza?
L'elenco sarebbe lungo, ma bastano pochi esempi per porsi di
fronte ad un dubbio, è sacrificabile la verità di fronte ad un benessere
generale? E qual è la misura? Ritengo che la misura oggettiva non possa
esistere e tutto è in mano a chi in quel momento ha l'onere della
responsabilità; non è definibile responsabilità pubblicare tutto e ascoltare il
parere di un popolo impaurito; se durante la crisi dei missili di Cuba il
popolo americano fosse stato interpellato sul da farsi, avrebbe quasi
all'unanimità chiesto di nuclearizzare la Russia.
Torniamo all'oggi, Assange, Snowden e altri, persone che
sicuramente hanno avuto coraggio, sacrificando la propria libertà per la
verità. Ma fin dove è possibile spingersi? Sono felice che il progetto PRISM
sia oggi di dominio pubblico, ma quanti documenti, fra quelli rilasciati
pubblicamente, hanno minato i fragili rapporti diplomatici fra potenze
mondiali? Siamo in un mondo che non è prono alla pace e una relazione
diplomatica rappresenta un punto di stabilità per tutti.
I concetti assoluti, come le misure esatte, hanno
probabilità nulla di essere corretti. Un consistente pezzo della mia cultura
proviene dal grande, sfaccettato, indefinibile mondo della subcultura
informatica, e ringrazio questo mondo di avermi insegnato che non c'è il bene e
il male, che i confini fra questi sono evanescenti e che esiste una grande
differenza fra etica e morale, l’hacker è libero ed essere liberi non coincide
sempre con l’essere moralmente integri o eticamente corretti. La libertà ha il
costo della fallibilità, del non rispondere al metro comune di valutazione
delle azioni e quindi nemmeno alla legge, ma nessuno ha mai avuto ne’ la
pretesa ne’ il desiderio di rinunciare a quella libertà per guadagnarsi il
proprio ruolo nella società, però questa è materia già affrontata in altri
anni, basterebbe rileggere il manifesto di The Mentor [2].
L’hacktivismo da questo punto mi terrorizza, nonostamte lo reputi una grande conquista, nasce su un
postulato tanto assoluto quanto debole, ovvero quello di utilizzare il proprio
essere hacker per "nobili fini": la difesa dei diritti umani, la libera circolazione
delle informazioni ecc ecc, ma in più conia un termine per definire il sottoinsieme di un
mondo che della sua eterogeneità faceva la propria forza. Volendo essere
ortodossi, però, in questo mondo socialmente accettato dell’hacktivismo c’è certamente un posto
per Assange e Snowden, ma non c'è affatto per Turing, che tutto fece fuorché divulgare
informazioni, anzi collaborò con un governo in guerra e indirettamente fu complice
di un evitabile massacro.
I princìpi assoluti non mi appassionano, pertanto la domanda posta all’inizio, tanto breve
quanto complessa: “può essere tutto pubblico?” non ha motivo di essere posta e per
tale motivo la risposta è semplicemente: “no”.
Da qui mi permetto di derivare un’altra considerazione
riguardo coloro che affermano che il mondo sarebbe un luogo migliore se tutto fosse
pubblico, anche di fronte a tale asserzione la risposta è “no”.
Per cambiare il mondo occorre compiere delle scelte e la
proposizione “tutto deve essere pubblico” non prevede una scelta, bensì prevede
una procedura … e le procedure cari amici le lascio ai burocrati, gli hacker
fanno ben altro.
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